Quando si parla di sostenibilità aziendale, spesso ci si concentra su ciò che è più visibile: la scelta di energie rinnovabili, la riduzione della plastica in ufficio, o l’installazione di pannelli solari sul tetto della sede. Ma c’è un’area – silenziosa, pervasiva e molto più impattante – che oggi è al centro dell’attenzione: le emissioni Scope 3. Per chi lavora nel mondo del business travel, questa sigla non è più un dettaglio tecnico da lasciare ai team ESG, ma una vera e propria leva strategica. Perché? Perché una parte consistente delle emissioni aziendali arriva proprio da qui: dai voli, dagli hotel, dai trasporti e da tutto ciò che gira intorno agli spostamenti dei dipendenti.
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ToggleCosa significa Scope 3?
Se ne parla tanto nei report di sostenibilità, ma spesso il termine “Scope 3” suona ancora un po’ nebuloso. In parole semplici, Scope 3 indica tutte le emissioni indirette di gas serra che un’azienda non produce direttamente e che non derivano dall’energia acquistata (quelle sono Scope 2), ma che sono collegate alla sua catena del valore. In pratica, tutto ciò che ruota intorno all’attività dell’azienda, dai fornitori fino all’uso finale del prodotto, compresi i viaggi d’affari. Un esempio? Se un dipendente vola da Milano a Berlino per una fiera, quel volo produce Scope 3 emissioni. E se quell’hotel in cui alloggia usa energia non rinnovabile? Anche quella contribuisce allo Scope 3. Il bello (e il difficile) è che sono emissioni molto diffuse, ma proprio per questo rappresentano un’occasione enorme per migliorare le performance ambientali aziendali.
Che cosa sono le emissioni Scope 3?
Le emissioni Scope 3 coprono una vastissima gamma di attività. Secondo il GHG Protocol (il principale standard internazionale per il calcolo delle emissioni), esistono 15 categorie Scope 3 che includono, ad esempio, i viaggi di lavoro, il pendolarismo dei dipendenti, la gestione dei rifiuti, l’acquisto di beni e servizi, la logistica a monte e a valle. Nel mondo del travel management, i viaggi rappresentano una delle voci più rilevanti. Per un’azienda con una forza vendita globale o team che viaggiano spesso per fiere, site inspection, meeting internazionali, le emissioni legate al business travel possono diventare la fetta più grande delle emissioni totali. Un esempio concreto? Microsoft nel suo report di sostenibilità ha dichiarato che le emissioni Scope 3 rappresentano oltre il 95% del totale. È evidente che qui si gioca una partita importante, e chi gestisce i viaggi aziendali ha un ruolo chiave.
Qual è la differenza tra emissioni di Scope 1, 2 e 3?
La distinzione tra Scope 1, 2 e 3 è utile per capire da dove arrivano le emissioni e chi le controlla. Le Scope 1 sono le emissioni dirette: quelle causate dalle attività aziendali “in casa”, come il riscaldamento con caldaie a gas o l’uso di veicoli aziendali a combustione. Le Scope 2 sono le emissioni indirette legate all’energia acquistata, come l’elettricità o il teleriscaldamento. E poi arrivano le Scope 3, le più vaste e complesse, perché includono tutto il resto: dai fornitori ai clienti, dai viaggi di lavoro agli spostamenti casa-lavoro. Se pensiamo all’impatto del business travel, è chiaro che le emissioni Scope 3 sono quelle che un travel manager deve imparare a misurare, gestire e – per quanto possibile – ridurre.
Perché le Scope 3 sono difficili da controllare?
Proprio perché sono così distribuite lungo tutta la filiera, le Scope 3 sono difficili da tracciare e ancora più da gestire. A differenza delle emissioni Scope 1 e 2, che l’azienda può misurare internamente, quelle Scope 3 richiedono un lavoro di raccolta dati da terze parti: fornitori, compagnie aeree, hotel, agenzie di viaggio, piattaforme di mobilità. Ma non finisce qui: serve anche un cambio di cultura aziendale, perché non basta “fare offsetting” o piantare alberi per compensare. Bisogna ripensare le modalità di viaggio: favorire soluzioni intermodali, privilegiare il treno sull’aereo dove possibile, scegliere strutture ricettive certificate, usare fornitori che abbiano a cuore la sostenibilità. Insomma, serve una strategia, e qui il ruolo del travel manager si fa sempre più centrale.
Scope 3 è obbligatorio?
Al momento, rendicontare le emissioni Scope 3 non è obbligatorio per tutte le aziende, ma le cose stanno cambiando. In Europa, la nuova Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) spinge le aziende – soprattutto quelle di grandi dimensioni – a includere anche lo Scope 3 nei bilanci di sostenibilità. In pratica, chi non inizia oggi a misurare, rischia di trovarsi impreparato domani. Inoltre, sempre più partner, investitori e clienti guardano ai dati ambientali come a un criterio di affidabilità. Per un’azienda, avere sotto controllo le proprie emissioni Scope 3 è un segnale forte di serietà e lungimiranza. E per un travel manager significa poter dialogare con il procurement e con il team CSR per costruire una politica di viaggio più consapevole.
Scope 3 emissioni e scelte aziendali
Affrontare le emissioni Scope 3 non è solo una questione di etica o compliance: è anche un’opportunità per risparmiare e innovare. Aziende che hanno cominciato a mappare e ottimizzare i viaggi, come SAP o Deloitte, hanno ridotto i costi generali di trasferta, aumentato il coinvolgimento dei dipendenti e migliorato la brand reputation. Senza contare il fatto che un approccio sostenibile ai viaggi d’affari aiuta anche a trattenere talenti, sempre più sensibili ai valori green. Implementare una strategia sullo Scope 3, quindi, non significa solo “fare i conti con le emissioni”: significa mettere in ordine il sistema dei viaggi aziendali, scegliere partner più affidabili, ridurre le spese inutili e portare la sostenibilità dentro ogni scelta operativa.
Photo credit: SevenStorm JUHASZIMRUS