Le aziende italiane sono preparate nell’eventualità che un loro dipendente subisca un sequestro? Si tratta davvero di una possibilità così remota? A quali professionalità si possono rivolgere? Queste e altre le domande alle quali abbiamo cercato di dare risposta nel magazine n°6 di Travel for business, grazie all’aiuto dell’esperto in sicurezza Mark Lowe, membro dell’advisory board di Pyramid Temi Group.
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Parlare di sequestri non è mai una cosa facile. E se ne si parla nell’ambito dei viaggi di lavoro l’argomento può diventare di più complessa gestione di quello che si potrebbe immaginare.
Eppure, l’approccio iniziale della maggior parte delle aziende è quello di considerare un sequestro come qualcosa che non potrà accadere ai propri dipendenti, una convinzione basata purtroppo più sulla difficoltà di farsi carico di un’eventualità così funesta, e meno sulla realtà.
D’altro canto, vale la pena ricordare che la tutela dei propri dipendenti in viaggio è un obbligo legale per le aziende, e che lo specifico caso del sequestro implica per loro il dovere di fornire prove concrete dell’aderenza al Duty of Care, e il rischio non è soltanto quello di ricevere sanzioni economiche ma anche condanne penali.
Travel Risk in Italia: cosa devono fare le aziende
Come è noto, in Italia il quadro legislativo non dà possibilità alle imprese italiane di rivolgersi a consulenti privati nella fase del riscatto, al contrario di altri Paesi europei. Ciononostante, un’azienda che si trova in questa evenienza deve confrontarsi con tutta una serie di problematiche, tutte piuttosto delicate, dal rapporto con la stampa a quello con i colleghi e i familiari fino al dopo-riscatto.
Abbiamo chiesto a Mark Lowe, esperto di sicurezza e in particolare di sequestri in diversi Paesi come Afghanistan, Iraq, Somalia, Yemen, Haiti, Filippine e Nigeria ed è anche molto familiare con diversi casi di italiani sequestrati all’estero.
Sul tema del sequestro, quali sono i rischi reali per i dipendenti e collaboratori di un’azienda che sono in trasferta per lavoro?
“Il rischio di sequestro per fortuna non è molto alto, ma esiste. Nell’immaginario comune i soggetti a rischio – pensando a chi viaggia per lavoro – sono solo i dipendenti di aziende del settore Oil & Gas o chi svolge un’attività particolare come i giornalisti e gli inviati speciali, ma la realtà è ben diversa. Il business traveller è esposto al rischio sequestro ed è bene non dimenticarlo.
Tale fatto impone da parte delle aziende la consapevolezza del rischio, ma soprattutto l’adozione di particolari procedure preventive e un ‘piano’ da mettere in atto nel malaugurato caso in cui il sequestro avvenga davvero”.
In quali Paesi il rischio di sequestro è maggiore?
“Oltre a quelli in guerra, sono quei Paesi dove la presenza dello Stato resta molto debole o dove esistono alti livelli di criminalità. Oggi tra i Paesi in cui il rischio cresce c’è il Messico, mentre la Nigeria resta sempre ad alto rischio, così come la Moldavia e la Russia pongono problemi”.
È possibile tracciare un identikit dei sequestratori?
“In estrema sintesi possiamo individuare due categorie ben distinte: gruppi criminali e gruppi terroristici (proscribed groups), che sono i responsabili dei cosiddetti sequestri politici.
Nel primo caso l’obiettivo è il pagamento del riscatto. Anche in caso di sequestro per mano di gruppi terroristici la vittima può essere rilasciata in cambio di un pagamento. Ma i sequestratori di solito hanno altre richieste come il rilascio di compagni o individui tratti in arresto o incarcerati, il ritiro delle truppe o le dimissioni di un Capo di Stato e l’Italia ne sa qualcosa, basti pensare ai casi delle due Simona o quello della giornalista Giuliana Sgrena.
In alcuni casi il sequestrato serve per motivi di propaganda, basti pensare a come l’Isis utilizzava John Cantlie, il giornalista inglese catturato in Syria nel 2012, e in altri casi i sequestratori tengono la vittima in attesa di decidere cosa fare o cosa chiedere. Se vogliamo fare parlare i numeri, nel 2018 i sequestri di cittadini stranieri sono avvenuti per la maggior parte in Africa (55%). Il 13,5% è avvenuto in Medio Oriente, l’11,7% in Europa, il 10,8% nell’area Asia-Pacifico e il 9% in America”.
Perché una persona viene sequestrata?
“Solitamente è una banale business transaction, ovvero da una parte il criminale possiede un “asset”, dall’altro c’è chi vuole acquistare l’asset in questione. Nella maggior parte dei casi viene richiesta una somma di denaro, e abbiamo visto cosa accade nei casi in cui l’individuo è nelle mani di un’organizzazione terroristica.
Vale menzionare anche il concetto del “Selling up the chain”, ovvero lo scenario in cui un sequestrato viene “venduto” a un terzo. Solitamente in questi contesti la vittima finisce in mano a un gruppo terroristico. Ciò avviene per una serie di motivi, innanzitutto perché non è facile detenere il sequestrato e nemmeno gestire richiesta, negoziazione e pagamento.(…)”.
Cosa possono fare le aziende italiane in tema di Travel Risk Management
“In realtà l’Italia resta molto indietro rispetto ad altre Nazioni europee, sono poche le aziende italiane che hanno investito nel rapporto con società specializzate in Travel Security e Corporate Intelligence, anche perché non se ne trovano molte con una specializzazione ad hoc in grado di dare l’apporto necessario in questi frangenti.
L’esperienza estera insegna che per un’azienda non è importante soltanto la consapevolezza del rischio, ma anche una predisposizione ad affrontare la questione attraverso l’assistenza di specialisti.
Ma anche se il quadro legislativo italiano è molto chiaro a riguardo, restano comunque diversi compiti di cui l’azienda si deve fare carico, per esempio la formazione di chi è esposto al rischio -un processo che implica anche un’accurata analisi del rischio- e la capacità di gestire le comunicazioni durante un sequestro.
Sono diversi i provvedimenti che devono essere presi prima della partenza di un dipendente, per esempio le aziende, così come le famiglie, dovrebbero essere in possesso di una serie di informazioni relative al viaggio e vanno prese alcune precauzioni.
Dal punto di vista della gestione, come detto, resta l’onere per la società di gestire le comunicazioni interne ed esterne, i rapporti con la famiglia e alcuni compiti di collaborazione con le forze investigative.
In seguito a un rilascio entrano inoltre in gioco ulteriori considerazioni, per esempio la vittima del sequestro di solito ha bisogno di particolari attenzioni mediche e psicologiche.
Tutte queste responsabilità richiedono preparazione, qualcosa che poche aziende possiedono.
Faccio un ultimo esempio: chi viene rilasciato ha bisogno di sapere che cosa è successo durante il suo periodo di prigionia, ma anche di cosa è stato fatto per la sua tutela, chi faceva che cosa.
Per poter soddisfare questa esigenza l’azienda ha bisogno di documentare correttamente il periodo in questione, non basta una rassegna stampa, occorre aprire, gestire e mantenere una vera log file simile a quella utilizzata di procedura dell’ente investigativo”.
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Mark Lowe è Risk Analyst con esperienze maturate quale Consulente Intelligence e Security per il Ministero della Difesa Italiana. Fa parte dell’Advisory Board di Pyramid Temi Group (PTG).